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Negli ultimi anni si è sviluppato in Italia un intenso contenzioso tra Istituti bancari e correntisti in relazione a diverse problematiche, in particolare in questo scritto si tenterà di ricostruire quali sono le problematiche principali attinenti i finanziamenti in genere, con riferimento al tasso contrattuale nominale ed effettivo. Successivamente parleremo di mutuo e di finanziamenti indifferentemente perché valgono le stesse considerazioni.
La formula per il calcolo del Tasso Effettivo Globale indicato nelle “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi”, valida per tutti i finanziamenti a rimborso rateale, è una formula matematica nel calcolo della quale si deve prestare attenzione in particolare agli oneri.
Infatti, in merito agli oneri che concorrono alla formazione del TEG, mentre le banche applicano la formula con una fedele applicazione delle istruzioni contenute nelle circolari Banca d’Italia, la clientela e il privato si orientano per l’ applicazione della L. 108/1996.
La giurisprudenza di merito, proprio in virtù di quanto sopra, ha contribuito ad alimentare tale conflitto, alternando pronunce spesso in contrasto tra loro. A fronte di una formula di verifica tecnica e matematica corretta il primo problema che sorge riguarda gli oneri certi ex ante da inserire tra i flussi negativi. La legge 108/96 (art. 644 c.p.) fa riferimento indistintamente a tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito ma le Istruzioni della Banca d’ Italia nel tempo hanno escluso alcuni di tali oneri.
Quando si richiede un mutuo o un finanziamento in genere, sovente, accade che l’istituto di credito chieda al futuro mutuatario di fornire una garanzia aggiuntiva, a protezione del prestatore di denaro da quegli imprevisti che potrebbero compromettere la capacità di rimborso del cliente. Un problema che ha costantemente creato ampi contrasti giurisprudenziali risulta essere quello se debba o meno rientrare il costo della polizza assicurativa nel calcolo del tasso di interesse applicato sul contratto di mutuo, onde stabilire se possa qualificarsi usurario. La risposta a tale quesito, a nostro avviso, non può che essere positiva, e per capire ciò è necessario partire dal dettato normativo dell’art. 1 L. n. 108/1996, il quale, modificando l’art. 644 c.p., considera rilevanti tutte le voci che comportano un costo connesso all’erogazione del credito. Infatti, secondo il disposto dell’art. 644, comma 5, c.p., “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”. Il dettato è chiaro e la medesima chiarezza caratterizza anche la Circolare della Banca d’Italia del 2001 che fornisce istruzioni circa la metodologia di calcolo del Teg.
Dunque oltre la penale di estinzione anticipata tra gli oneri certi ex ante che devono essere inseriti tra i flussi negativi ci sono le spese assicurative.
Infatti le polizze assicurative vanno incluse nel calcolo del TEG quando queste servono ad assicurare il rimborso del credito e quando servono a tutelare i diritti del creditore nell’ambito del rapporto di finanziamento. Vanno altresì incluse quando:
a) è obbligatoria per legge o per contratto per ottenere il credito;
b) è obbligatoria o, nei fatti, necessaria per ottenere il credito a determinate condizioni contrattuali;
c) è contestuale alla concessione del finanziamento.
Il ricorrere di una di queste ulteriori condizioni, unitamente a una delle prime due, comporta la necessità di includere gli oneri relativi alla polizza o alla garanzia nel TEG.
A tal fine una recente sentenza della Cassazione Civile, Sezione I, n. 8806 del 5 aprile ’17, si è occupata delle spese di assicurazione che nel 2002 venivano escluse dalla rilevazione del TEGM. La sentenza, rispetto al 2002 e cambiando completamente, antepone l’imprescindibile carattere di onnicomprensività fissato dall’art. 644 c.p.:
▪ osserva che ‘non avrebbe neppure senso opinare diversamente nella prospettiva della repressione del fenomeno usurario, l’esclusione di talune delle voci per sé rilevanti comportando naturalmente il risultato di spostare – al livello di operatività della pratica – la sostanza del peso economico del negozio di credito dalle voci incluse verso le voci escluse’;
▪ puntualizza che ‘detto carattere “onnicomprensivo’ per la rilevanza delle voci economiche – nel limite esclusivo del loro collegamento all’operazione di credito – vale non diversamente per la considerazione penale e per quella civile del fenomeno usurario;
▪ ripristina la gerarchia delle fonti: “L’unitarietà della regolamentazione – così come la centralità sistematica della norma dell’art. 644 per la definizione della fattispecie usuraria sotto il profilo oggettivo, che qui specificatamente interessa – si trova sottolineata, del resto, dallo stesso fatto che la legge n. 108/1996 viene a considerare pari passu entrambi questi aspetti (cfr., in particolare, la disposizione dell’art. 4)”.
▪ stabilisce la subordinazione all’art. 644 c.p. delle disposizioni esecutive del MEF e della Banca d’Italia: ‘La centralità sistematica della norma dell’art. 644 in punto di definizione della fattispecie usuraria rilevante non può non valere, peraltro, pure per l’intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell’usura e quindi anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive e per le Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia. Se è manifesta l’esigenza di una lettura a sistema di queste varie serie normative, pure appare chiaro che al centro di tale sistema si pone la definizione di fattispecie usuraria tracciata dall’art. 644, alla quale si uniformano, e con la quale si raccordano, le diverse altre disposizioni che intervengono in materia.
Pertanto riteniamo che qualora si sia contratto un mutuo o un finanziamento, anche già chiuso, ma per il quale si può ancora richiedere la restituzione di somme indebitamente corrisposte fare una verifica. Pertanto vi esortiamo a contattarci al fine di procedere ad una verifica gratuita in tal senso.
di Sonia Brattelli e Roberta Coviello

Sconto in fattura: Ecobonus e Sismabonus, vantaggi per il contribuente

L’ art. 10 del Decreto crescita n. 34/2019 ha previsto, per gli interventi di efficienza energetica e rischio sismico, la possibilità per il contribuente che può beneficiare del credito di imposta, di optare per lo sconto in fattura o meglio di detrarre l’importo riconosciuto come detrazione dal corrispettivo dovuto al fornitore. Ora se fin qui ci sembra tutto meraviglioso e lo è per il contribuente che beneficia della detrazione e che può recuperare immediatamente l’agevolazione vediamo come questo sia meno meraviglioso per il fornitore. La disposizione prevede che il fornitore recuperi il detto importo ossia il mancato incasso del 50% in 5 anni esclusivamente nel mod. F24, a compensazione di debiti tributari e/o contributivi.
Quindi vediamo quali sono le conseguenze negative per il fornitore. Innanzitutto il mancato incasso del 50% del corrispettivo. Il recupero in cinque quote annuali costanti esclusivamente nel mod. F24 a compensazione di debiti tributari e/o contributivi sempre che l’impresa ne maturi. E’ prevista la possibilità che il fornitore possa cedere il credito di imposta ma soltanto ai propri fornitori di beni e servizi e quindi non è possibile cedere il credito agli istituti bancari o finanziari. Meno che mai è possibile chiedere l’importo a rimborso. E’ chiaro come tutto ciò sia penalizzante per le imprese, a mio avviso di tutte le dimensioni e in particolare per quelle medio piccole. Ora come si potrebbe ovviare: facendo firmare ai propri clienti una rinuncia espressa alla fruizione dello sconto in fattura. Tuttavia può accadere che indipendentemente dagli accordi, il cliente bonifichi solo il 50% dell’importo della fattura inviando entro il 28 febbraio successivo la comunicazione all’Agenzia delle Entrate di adesione all’opzione.
Ora è chiaro e ovvio che il contribuente preferisce ricevere lo sconto immediatamente all’atto del pagamento e non è necessario spiegare perché. Certo ci sembra incomprensibile come si possa danneggiare l’imprenditore che in questo modo finanzia lo Stato senza possibilità di fare diversamente. Non si capisce perché si debba mettere in contrapposizione due soggetti danneggiando in modo evidente l’imprenditore.
di Roberta Coviello

“Il vantaggio di applicare la cedolare secca sugli affitti di immobili e le novità 2019”

La cedolare secca introdotta nel nostro ordinamento con l’art.3 del D.Lgs n. 23/2011 prevede la possibilità per le persone fisiche “privato” di assoggettare i redditi scaturenti dalle locazioni ad uso abitativo ad una imposta sostitutiva dell’irpef e relative addizionali e anche delle imposte indirette (imposta di registro e bollo) che dunque non sono dovute.
La cedolare secca prevede due diverse imposte in misura fissa del 21 o del 10 per cento sul reddito di locazione. Anche per il 2019 sono state prorogate le due aliquote, l’aliquota del 21 si applica ai contratti a canone libero mentre quella del 10 si applica per i contratti a canone concordato e in presenza di specifici requisiti. Brevemente ricordiamo che il contratto a canone libero è svincolato da schemi predefiniti, il canone annuo è liberamente determinato dalle parti e la durata del contratto è di almeno 4 anni con rinnovo automatico per ulteriori 4 anni, mentre i contratti a canone concordato devono rispettare determinate condizioni contrattuali previste in appositi accordi definiti in sede locale tra le organizzazioni maggiormente rappresentative della proprietà edilizia e dei conduttori, la durata è fissata in un minimo di 3 anni, con un proroga di altri 2.
Il regime della cedolare secca è indubbiamente un regime di vantaggio, ben maggiore la dove si applichi la percentuale del 10 per cento, perché consente di assoggettare l’importo del canone corrisposto dall’affittuario, c’è da dire senza alcun abbattimento forfettario, non con le aliquote irpef ordinarie (che vanno dal 23 al 43 per cento) ma ad una imposta sostitutiva ridotta.
Ora mentre non c’è dubbio sull’enorme beneficio fiscale che comporta l’applicazione della cedolare secca al 10 per cento, per quella al 21 per cento occorre fare qualche considerazione e calcolo in più.
Precisiamo che la cedolare secca al 10 per cento si applica per i contratti a canone concordato nei comuni ad alta densità abitativa o per i contratti di affitto a studenti universitari e anche per gli affitti transitori di cui alla L. 431/1998. L’aliquota al 21 per cento si applica per i contratti a canone libero.
Novità significativa prevista con la legge di bilancio 2019 è l’estensione della tassazione a cedolare secca anche per gli affitti commerciali. Fino allo scorso anno questo non era possibile. Tuttavia tale opzione con aliquota del 21 per cento è prevista per i locali appartenenti alla categoria C/1. L’art. 1, comma 59, della legge di bilancio 2019 (L. n. 145 del 30 dicembre 2018) stabilisce che il canone di locazione relativo ai contratti stipulati nell’anno 2019, aventi ad oggetto unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1, di superficie fino a 600 metri quadrati, può essere assoggettato al regime della cedolare secca con aliquota del 21 per cento. Poiché trattasi di un regime di vantaggio, per evitare l’adozione di comportamenti elusivi, è espressamente previsto che il detto regime non è applicabile ai contratti stipulati nell’anno 2019, qualora alla data del 15 ottobre 2018 risulti in corso un contratto non scaduto, tra i medesimi soggetti e per lo stesso immobile, interrotto anticipatamente rispetto alla scadenza naturale.
Quindi per le nuove locazioni di immobili commerciali teniamo conto di quanto previsto dalla legge di bilancio 2019 quando andiamo a fare la registrazione con il modello RLI utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia.
di Roberta Coviello